Fabro e Alto Orvietano, una vocazione agricola che viene dal passato
Le tradizioni e l’adattamento all’ambiente: il rapporto degli abitanti con le proprie terre
Non è raro, se ci si aggira per i territori che si estendono lungo e intorno alla valle del Chiani, trovare conchiglie e resti fossili incastonati nelle pareti tufacee, nelle argille, o sepolti nel sottosuolo. Sono antichissimi. Raccontano un passato remoto – Pliocene e Pleistocene - quando tutto era sommerso dalle acque. Almeno due milioni di anni orsono. Nell’età del ferro l’area oggi conosciuta come Alto Orvietano era frequentata dagli antenati degli Etruschi: i Villanoviani, che su queste terre avevano fondato numerosi insediamenti. Dal VII secolo avanti Cristo, e per tutta la durata dell’età etrusco-romana, il Chiani (Clanis) fu un nodo strategico per la viabilità del centro Italia, come testimoniano le tombe e gli oggetti appartenuti agli abitanti di quelle due civiltà, alcuni risalenti al II e al I secolo avanti Cristo, che sono stati ritrovati nel tempo soprattutto nei centri più antichi come Fabro e Carnaiola. Allora, proprio come oggi, le coltivazioni più diffuse erano quelle dell’olivo e della vite, oltre a quella del grano e del farro, a testimonianza di una vocazione naturale dei territori attigui alla Valle del Chiani per quelle che ancora oggi sono due delle produzioni di eccellenza dell’area: olio e vino.
All’inizio del secolo scorso fu ritrovata, nella zona di Fabro, una pietra miliare datata 107 avanti Cristo che segnalava la presenza di un tratto della Via Traiana Nova, che proprio in questo segmento della Valle del Chiani s’incrociava con la Cassia. Questo snodo viario, insieme a quello fluviale del Chiani, di cui i Romani garantivano la navigabilità con opportuni bacini artificiali ed apposite edificazioni di muraglioni, chiuse e sostegni, rendevano la Valle del Chiani un importante corridoio tra Roma e la parte settentrionale del centro Italia. Muro Grosso, nell’area sottostante a Carnaiola, era un’opera idraulica realizzata dai Romani proprio per regolare la navigabilità del Chiani e fu oggetto di studio di Leonardo da Vinci. Fu riadattata a ponte, intorno all’anno Mille - mentre gli Orvietani facevano costruire il castello di Monteleone - e nel corso dei secoli è stato distrutto e ricostruito più volte.
Con il lento abbandono della Cassia e l’interruzione della manutenzione delle opere idrauliche intorno al Chiani l’area diventò pian piano un’immensa palude che convertì l’economia del luogo legandola soprattutto alla pesca. Con la bonifica del territorio, iniziata in modo sistematico solo dal XIX secolo, l’Alto Orvietano acquisirà pian piano la fisionomia odierna. Fabro si colloca in una zona collinare, vicina a un’ampia area boschiva, e in particolare dal parco di Villalba e dal monte Peglia. Il castello fu costruito su una struttura preesistente, una fortificazione di origine romana che serviva a difendere un territorio molto importante dal punto di vista agricolo. Nel Medioevo divenne parte del sistema politico amministrativo del comune d’Orvieto. Tra il ‘400 e il ‘500 fu ristrutturato dalla famiglia Filippeschi. Solo nel 1549 Fabro si dotò di propri statuti.
A partire dal XVI secolo intorno al castello si sviluppò il borgo, con il palazzo comunale attribuito al Calderini – e poi semidistrutto durante la seconda guerra mondiale - e la chiesa parrocchiale.
Piatto tipico del posto è la “torta sotto al foco”, un pane azzimo che viene cotto sotto la brace ardente e che viene ancora oggi riproposto nelle sagre paesane.
Fabro Scalo si è sviluppata negli anni ’30 con la nascita della stazione ferroviaria ed è oggi il centro commerciale e la parte più popolata del Comune. Tra lo scalo e il borgo antico c’è la frazione Colonnetta con il suo centro industriale e fieristico. Fino a due anni fa vi si svolgeva la fiera nazionale Mostra Mercato del Tartufo, oggi allestita a Fabro Scalo. La campagna intorno a Fabro è ricca di tartufi e soprattutto del pregiato tartufo bianco.
A circa un chilometro da Fabro Scalo c’è il piccolo borgo Carnaiola, con il suo castello costruito sulle rovine dell’antica fortificazione romana intorno all’anno Mille. Nel corso del Seicento divenne un palazzo nobiliare, uno dei pochi al di fuori dalle mura della città d’Orvieto. La sua storia è legata alla vita della mistica umbra del ‘200, alla Beata Vanna, alla quale è dedicata una piccola chiesa.
A tutela dei sapori della tradizione, c’è ancora oggi la sagra del “pan col mosto”, tipica pietanza che allietava le tavole degli abitanti durante il periodo della vendemmia.
Il paesaggio che circonda la valle del Chiani, nel territorio dell’Alto Orvietano, è punteggiato di viti e olivi. Sono molte le aziende agricole che si dedicano alla produzione di vini e oli di qualità, come molte sono le singole famiglie che coltivano i propri appezzamenti di terreno per poi trasformare i frutti del loro lavoro in prodotti destinati al consumo familiare.
Le tradizioni e l’adattamento all’ambiente: il rapporto degli abitanti con le proprie terre
Non è raro, se ci si aggira per i territori che si estendono lungo e intorno alla valle del Chiani, trovare conchiglie e resti fossili incastonati nelle pareti tufacee, nelle argille, o sepolti nel sottosuolo. Sono antichissimi. Raccontano un passato remoto – Pliocene e Pleistocene - quando tutto era sommerso dalle acque. Almeno due milioni di anni orsono. Nell’età del ferro l’area oggi conosciuta come Alto Orvietano era frequentata dagli antenati degli Etruschi: i Villanoviani, che su queste terre avevano fondato numerosi insediamenti. Dal VII secolo avanti Cristo, e per tutta la durata dell’età etrusco-romana, il Chiani (Clanis) fu un nodo strategico per la viabilità del centro Italia, come testimoniano le tombe e gli oggetti appartenuti agli abitanti di quelle due civiltà, alcuni risalenti al II e al I secolo avanti Cristo, che sono stati ritrovati nel tempo soprattutto nei centri più antichi come Fabro e Carnaiola. Allora, proprio come oggi, le coltivazioni più diffuse erano quelle dell’olivo e della vite, oltre a quella del grano e del farro, a testimonianza di una vocazione naturale dei territori attigui alla Valle del Chiani per quelle che ancora oggi sono due delle produzioni di eccellenza dell’area: olio e vino.
All’inizio del secolo scorso fu ritrovata, nella zona di Fabro, una pietra miliare datata 107 avanti Cristo che segnalava la presenza di un tratto della Via Traiana Nova, che proprio in questo segmento della Valle del Chiani s’incrociava con la Cassia. Questo snodo viario, insieme a quello fluviale del Chiani, di cui i Romani garantivano la navigabilità con opportuni bacini artificiali ed apposite edificazioni di muraglioni, chiuse e sostegni, rendevano la Valle del Chiani un importante corridoio tra Roma e la parte settentrionale del centro Italia. Muro Grosso, nell’area sottostante a Carnaiola, era un’opera idraulica realizzata dai Romani proprio per regolare la navigabilità del Chiani e fu oggetto di studio di Leonardo da Vinci. Fu riadattata a ponte, intorno all’anno Mille - mentre gli Orvietani facevano costruire il castello di Monteleone - e nel corso dei secoli è stato distrutto e ricostruito più volte.
Con il lento abbandono della Cassia e l’interruzione della manutenzione delle opere idrauliche intorno al Chiani l’area diventò pian piano un’immensa palude che convertì l’economia del luogo legandola soprattutto alla pesca. Con la bonifica del territorio, iniziata in modo sistematico solo dal XIX secolo, l’Alto Orvietano acquisirà pian piano la fisionomia odierna. Fabro si colloca in una zona collinare, vicina a un’ampia area boschiva, e in particolare dal parco di Villalba e dal monte Peglia. Il castello fu costruito su una struttura preesistente, una fortificazione di origine romana che serviva a difendere un territorio molto importante dal punto di vista agricolo. Nel Medioevo divenne parte del sistema politico amministrativo del comune d’Orvieto. Tra il ‘400 e il ‘500 fu ristrutturato dalla famiglia Filippeschi. Solo nel 1549 Fabro si dotò di propri statuti.
A partire dal XVI secolo intorno al castello si sviluppò il borgo, con il palazzo comunale attribuito al Calderini – e poi semidistrutto durante la seconda guerra mondiale - e la chiesa parrocchiale.
Piatto tipico del posto è la “torta sotto al foco”, un pane azzimo che viene cotto sotto la brace ardente e che viene ancora oggi riproposto nelle sagre paesane.
Fabro Scalo si è sviluppata negli anni ’30 con la nascita della stazione ferroviaria ed è oggi il centro commerciale e la parte più popolata del Comune. Tra lo scalo e il borgo antico c’è la frazione Colonnetta con il suo centro industriale e fieristico. Fino a due anni fa vi si svolgeva la fiera nazionale Mostra Mercato del Tartufo, oggi allestita a Fabro Scalo. La campagna intorno a Fabro è ricca di tartufi e soprattutto del pregiato tartufo bianco.
A circa un chilometro da Fabro Scalo c’è il piccolo borgo Carnaiola, con il suo castello costruito sulle rovine dell’antica fortificazione romana intorno all’anno Mille. Nel corso del Seicento divenne un palazzo nobiliare, uno dei pochi al di fuori dalle mura della città d’Orvieto. La sua storia è legata alla vita della mistica umbra del ‘200, alla Beata Vanna, alla quale è dedicata una piccola chiesa.
A tutela dei sapori della tradizione, c’è ancora oggi la sagra del “pan col mosto”, tipica pietanza che allietava le tavole degli abitanti durante il periodo della vendemmia.
Il paesaggio che circonda la valle del Chiani, nel territorio dell’Alto Orvietano, è punteggiato di viti e olivi. Sono molte le aziende agricole che si dedicano alla produzione di vini e oli di qualità, come molte sono le singole famiglie che coltivano i propri appezzamenti di terreno per poi trasformare i frutti del loro lavoro in prodotti destinati al consumo familiare.
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