Ci sembrava giusto rispondere al dono che ci aveva fatto Dario Penco di Salvore, in Istria, e così, con molta fantasia debbo dire, ad un quadro abbiamo contraccambiato con un altro quadro. Una veduta di Venezia, tanto per restare in tema. L’abbiamo consegnato a Sanda, la direttrice dell’Ufficio turistico di Umago, in pratica la boss della zona. Peripezie qualcuna, come quando il doganiere sloveno ha voluto vedere, e sono cadute per terra le luganeghe che Zlatko Mavric di Medana, sul Collio Sloveno, ci aveva regalato: dopo due o tre minuti di turpiloquio di entrambi, il doganiere fa “Ah beh, sol luganeghe” e “Te pol ndar”. E il quadro non l’ha più badato. Beh, il quadro l’ha dipinto Marcelle Jayè in tempo record, a colori piuttosto tenui per il suo solito.
Nata in Belgio, da padre belga e madre italiana (Veneta). È tornata con mamma Argenide “per rivedere come si sta in Italia”. Marcelle arriva da bimba in Italia nel 1945 e ci resta fino ai 18 anni. Da secoli la radice materna veneta di Marcelle sono tutti artisti. Emigra poi con papà e mamma a Caracas in Venezuela. Il marito ungherese, architetto e professore universitario, progetta l'Ambasciata Venezuelana in Brasilia; la Jayè si butta a capofitto nell’insegnamento artistico, il disegno, la pittura, la scultura e il restauro. Ed è l’unica restauratrice di tutte le "cose" di Simón Bolívar, "El Libertador", la cui figura è il simbolo stesso della liberazione nell'America Latina dal colonialismo spagnolo. Adesso in Italia vuole far conoscer la sua passione per queste due terre. Ha fatto anche dono a Gentilini di un ritratto.
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