Verteneglio è un paesino di 2.000 abitanti situato nella parte nord-occidentale dell’Istria, in Croazia. La stretta vicinanza di Verteneglio con il territorio sloveno ed italiano ha fatto sì che da sempre la gente di Verteneglio si identifichi di più con la tradizione e i costumi italiani piuttosto che con quelli croati; nel 1991 la maggioranza della popolazione del Comune di Verteneglio ha dichiarato di essere di nazionalità italiana - questo risultò essere l’unico comune in Croazia nel quale il numero degli abitanti appartenenti ad una comunità nazionale minoritaria superava il numero delle persone appartenenti alle altre nazionalità, mentre adesso la percentuale è scesa al 33%.
Offerta turistico-culturale
L’Ente comunale per il turismo di Verteneglio si occupa della promozione turistica del paese e dello sviluppo di nuovi segmenti e prodotti turistici ed attività in base alle risorse disponibili, seguendo sempre attentamente gli interessi e le esigenze degli ospiti e visitatori. Il pluripremiato campeggio „Park Umag“, situato accanto all’abitato di Carigador, a pochi chilometri dal centro comunale, è uno dei campeggi più grandi del Mediterraneo, e gli interessanti contenuti sia d'animazione che per bambini lo rendono ideale per la vacanza di tutta la famiglia. Sul territorio è presente anche un piccolo boutique hotel a gestione familiare, il quale ha riscosso un ottimo successo durante gli anni scorsi. L’ offerta turistica ricettiva è inoltre arricchita da diversi agriturismo e case vacanza ai quali fa da cornice l’ ambiente autoctono istriano.
È stata recentemente ultimata la prima fase di ricostruzione dell’edificio del vecchio mulino situato nel centro dell’abitato che diverrà la sede del Museo del vino, unico per il suo genere in tutta l’Istria. Numerosi i contenuti del museo, dall' enoteca ad un piccolo amfiteatro previsto per le attività culturali, musicali ...
Tra le numerosi manifestazioni di carattere turistico-tradizionale Verteneglio è particolarmente fiera della Festa della malvasia istriana, giunta ormai alla 27-esima edizione. Ad arricchire il programma all' insegna dell' ottimo vino di rinomati produttori del territorio istriano, nazionale ed internazionale, c' è anche il Pallio delle botti, al quale ogni anno partecipano le squadre di diverse città e comuni membri dell' associazione Città del vino.
A Verteneglio la tradizione artistica è presente da più tempo: nel 1971 si stabilì a Verteneglio lo scultore accademico Aleksandar Rukavina, dal 1996 a Verteneglio ha sede l’Agenzia della democrazia locale per l’Istria, da menzionare anche il gruppo vocale Volta che rappresenta il Comune in numerosi incontri nazionali e internazionali. Ad arricchire la tradizione musicale del paese provvede anche il Centro Studi di Musica Classica “Mauro Masoni” presso la locale Comunità degli Italiani. A riunire i cittadini di Verteneglio contribuisce anche la neonata associazione “Amici della natura Zenone” particolarmente orientata alla difesa della natura.
Sapori enogastronomici ed attrazioni naturali
A contradistinguere il territorio comunale di Verteneglio è la forte concentrazione di produzione di vino. A Verteneglio ci sono infatti sei vitivinicoltori che imbottigliano ed etichettano il proprio vino e che possiedono una cantina vinicola, e molti altri che offrono vini di ottima qualità. Inoltre, ci sono anche diversi produttori di olio d’oliva e altri prodotti tipici locali come il formaggio, il miele, i salumi e la lavanda.
Verteneglio è conosciuta per gli ottimi ristoranti e agriturismo la qui offerta viene contraddistinta dalla tradizione ed il desiderio di custodire i menù a base di carne, pesce e altri ingredienti locali, quali il tartufo, carne di bue istriano ("boškarin"), funghi, asparagi, sogliola...
Da due anni è stata inoltre aperta la Grotta del Marmo, una delle attrazioni locali che non si possono omettere. Finora la grotta ha ospitato più di 20.000 visitatori di tutte le fasce d' età. Tra le bellezze naturali da citare anche il parco naturale di Scarline e la Grotta di Serbani, nonché i castellieri che si affacciano alla vallata del fiume Quieto.
Verteneglio fa parte della rete dei Borghi Europei del Gusto.
Ente per il turismo del Comune di Verteneglio
http://www.brtonigla-verteneglio.hr/
mercoledì 27 ottobre 2010
martedì 26 ottobre 2010
Breve storia di Capodistria
La sua nascita si perde nella notte dei tempi, come pure l'origine del suo nome primario: Aegida, un nome che ricorda l'egida di Atena, la dea greca della sapienza. La leggenda racconta di aspre contese con Poseidone e delle sue persecuzioni contro la dea, che avrebbe cercato rifugio proprio in questa zona. Nella lotta fra le due divinità, l'egida, uno scudo ricoperto di pelle di capra, cadde in mare che Zeus, intenerito dalle suppliche della dea, avrebbe trasformato in un scoglio. In verità, anche visto da lontano o dall'alto, l'isola sembra proprio uno scudo adagiato sul mare.
L'antico nome romano, Capris, deriverebbe invece dal fatto che l'isola era un luogo adibito all'allevamewnto delle capre. Inizialmente non esisteva come centro urbano; probabilmente furono proprio i Romani i primi a colonizzare in parte l'isolotto roccioso, modestamente elevato sulla superficie del mare, e sul quale si sviluppo più tardi Capodistria.
Già molti secoli prima, però, esisteva alla foce del fiume Risano, ai piedi della vicina altura di Sermino, un approdo ed un emporio. Qui avvenivano gli scambi fra le merci e gli schiavi che arrivavano dal nord, via terra, e dal sud, via mare. E' probabile che Aegida fosse il nome proprio di questo emporio, che lo storico romano Plinio il Giovane situò tra la foce del Risano ed il municipio romano di Parenzo. Allorché nel 16 a.C. la penisola istriana entrò a far parte della »X Regio Venetia e Histria«. la località venne completamente romanizzata. Lo confermano i numerosi ritrovamenti di ville rustiche romane e reperti archeologici rinvenuti nell'intera zona del Sermino.
L'isolotto di Capris crebbe d'importanza appena nel V secolo, alla fine dell'epoca romana. Minacciata dalle migrazioni di popolazioni barbariche (Eruli, Visigoti, Ostrogoti e Unni), la popolazione rurale fu costretta a cercare riparo sull'isola, che divenne uno dei punti di riferimento del sistema difensivo del Carso, chiamato Claustra Alpium Juliarum.
Pare che Capodistria abbia avuto una sua chiesa probabilmente già a metà del IV secolo, dopo l'editto di Milano promulgato da Costantino e ricordato da Gregorio Magno. Sembra però che abbia avuto vita breve. Appena nel VI secolo fu formata la diocesi con l'elevazione della chiesa di Capodistria a rango episcopale e con propria sede.
L'antico impero romano d'Oriente, dopo lunghe ed estenuanti lotte contro gli Ostrogoti, nel 539 recuperò l'Istria ed anche i Bizantini si insediarono sull'isolotto. Dopo le successive invasioni degli Avari e degli Slavi, e specialmente dopo l'invasione longobarda del 568, a Capris cercò rifugio pure una parte delle popolazioni dell'agro circostante. L'imperatore bizantino Giustino II permise ai fuggiaschi di insediarvisi e la località fu chiamata in suo onore Justinopolis. Il nome nuovo e quello vecchio continuarono per secoli ad intrecciarsi, tanto che in un documento del 976 troviamo »Justinopolis quae vocatur Capris«.
Le fortificazioni bizantine del VI secolo comprendevano una cinta muraria con nove »porte sante«, in quanto ad ogni porta corrispondeva una cappella dedicata ad un santo.
Durante la dominazione longobarda, grazie alla sua collocazione relativamente sicura, la cittadina rimase più o meno bizantina fino al 788, allorché i Franchi occuparono l'Istria.
Con l'avvento del feudalesimo, Capodistria, come le altre cittadine istriane, dovette subire gli sconvolgimenti dell'antico sistema romano, ancora conservato dai Bizantini.
Già durante il IX secolo Capodistria aveva subito danni alla sua flotta da parte dei pirati saraceni e, per una migliore difesa da questi attacchi e per lo sviluppo dei traffici mercantili, le componenti politiche ed economiche della città iniziarono a rivolgere la loro attenzione su Venezia, che staccatasi da Bisanzio, prepotentemente e rapidamente assurgeva a nuova potenza marinara.
Nel 932 un primo patto commerciale e d'amicizia fu siglato dal comune della città con il doge Candiano II nel quale Capodistria si impegnò per un contributo annuo di cento anfore di vino verso la Repubblica. Fu seguito da un secondo patto nel 1000, che rappresentò, seppure formalmente, l'inizio di un impegno di fedeltà alla Repubblica veneta.
Verso l'anno 1000, la diocesi di Capodistria che all'incirca 250 prima era stata data in commenda al patriarca di Grado, venne unificata con la diocesi di Trieste.
Nel 10036 il comune di Capodistria, che continuò ad esistere pur nello sconvolgimento provocato dall'ordinamento feudale, e pur sottomesso giuridicamente ai marchesi istriani rappresentanti il potere dell'imperatore Corrado II, ottenne da questi certi privilegi, tra cui il diritto di autogovernarsi, e alcuni possedimenti; cercò di conseguire lo stato di libero comune e vi riuscì alternando abili giochi diplomatici fra i patriarchi d'Aquileia ed i veneziani.
Un terzo patto tra le due città marittime fu stretto nel 1145 che rappresentò un successivo graduale avvicinamento ed assoggettamento alle pretese veneziane. Un console veneto visse nella città in qualità di rappresentante della Repubblica e Capodistria fu costretta a fornire a Venezia una galera per ogni sua impresa nell'Adriatico ed a proteggere gli interessi veneziani in Istria. Un nuovo trattato con i Veneziani, nel 1182, favorì Capodistria che ebbe il monopolio marittimo per il commercio del sale della provincia, che era allora un bene immenso.
Nel 1186, accanto al libero comune, che venne rappresentato da un podestà e da quattro consoli, fu ripristinata da papa Alessandro la diocesi, a seguito del concilio Lateranense. La diocesi venne sottoposta al patriarca d'Aquileia.
Il '200 fu un secolo importante e determinante per Capodistria. Nel 1210 fu scelta quale sede principale dei possedimenti istriani dei patriarchi, eletti marchesi d'Istria, che imposero alla città il nome di Capo d'Istria.
Capodistria tentò varie volte di liberarsi dal giogo dei Veneziani, ma non ci riuscì nemmeno con l'aiuto dei conti di Gorizia. Dovette però lottare anche contro colro che volevano limitarne l'autonomia. Nel 1230 il comune di Capodistria formò una lega con altri comuni istriani contro i patriarchi aquileiesi i quali, appoggiati dall'imperatore, volevano distruggere l'autogoverno della città.
Le fazioni che parteggiavano rispettivamente per i patriarchi e per i Veneziani si combatterono per lunghi anni in sanguinose lotte di parte che ricordano quelle tra i guelfi e i ghibellini toscani. Numerosi e vani furono i tentativi di liberarsi dai gravosi impedimenti e legami verso Venezia: le mura e le torri fortificate della città sconfitta furono abbattute dai veneziani che imposero un podestà veneto e pretesero un atto di piena sottomissione e riconoscimento del dominio veneto. L'ultimo tentativo di rielevarsi a libero comune si ebbe nel 1348, ma finì in un massacro di tutti i ribelli e e dei mercenari assoldati e Capodistria dovette nuovamente fare un umiliante atto di sottomissione.
Capodistria rimase sotto il dominio veneto fino al 1797, data che coincise con la fine della Repubblica. Per più di quattro secoli fece parte della vita di Venezia ricevendone l'aspetto più caratteristico e nobile: cinque suoi capitani-podestà furono eletti dogi.
Crebbe d'importanza ed il suo potere si allargò su ben quarantadue località istriane. Nel 1349 Venezia elesse un particolare rappresentante della popolazione slava dell'entroterra con il titolo di »capitaneus sclavorum« cui fu affidata la soluzione dei contrasti e delle questioni più importanti.
Nel corso dei secolo, la città divenne il centro principale dell'intera provincia istriana sotto Venezia. Nel XVI secolo si ebbe la massima espansione demografica della città che raggiunse circa 10.000 abitanti; però, durante la pestilenza del 1553, a Capodistria, si contarono più di 6.000 morti.
Dal 1348 al 1797 Capodistria fu interessata soltanto da vicende locali con continue ingerenze di Venezia, la sua posizione di capoluogo di provincia le dette una forza solo apparente in quanto fu, in realtà, il centro più controllato. Inoltre dovette subire supinamente tutte le conseguenze del secolare confronto della Serenissima con l'impero austriaco.
La terribile pestilenza del 1630 ridusse la sua popolazione da 5.000 a 1.800 persone. Nel 1719, anno in cui Trieste fu dichiarata »porto franco«, segnò il crollo definitivo di Capodistria.
Durante la breve dominazione napoleaonica dal 1806 al 1813, Capodistria fu sede del distretto comprendente i territori di Pinguenzte, Pirano e Parenzo e fu governata da un prefetto. Nel 1809 fu occupata dagli austriaci. Ritornata definitivamente sotto il dominio austriaco, nel 1815, dopo il Congresso di Vienna, Capodistria divenne il naturale retroterra dell'emporio triestino in piena ascesa. Rimase un porto di cabotaggio con poca importanza con una popolazione dedita alla pesca e alla piccola attività marittima e cantieristica locale.
Nel 1819 il vescovado di Capodistria passò sotto la giurisdizione metropolitana del patriarca di venezia, Nel 1830 lo stesso fu sottoposto al nuovo arcivescovado di Gorizia mentre, due anni dopo, fu unito a quello di Trieste. Nel 1861 Capodistria divenne sede del Capitanato distrettuale comprendente i territori di Isola e Pirano.
La seconda metà dell'Ottocento e la prima decade del secolo successivo sono caratterizzati dall'attiovità irredentistica, anche in Istria e a Capodistria. Insorgono gli attriti con gli sloveni del circondario, nasce una pericolosa rivalità tra le due componenti nazionali. Nel 1882 nacque la società di navigazione »Capodistriana« e la città assunse un ruolo notevole nel commercio marittimo e nel traffico passeggeri. Nel 1902 venne ultimata la ferrovia a scartamento ridotto, chiamata »Parenzana«, che univa Trieste a Parenzo via Capodistria. Nel 1910 si inaugurò la prima Esposizione istriana.
Dopo la prima guerra mondiale la città entra a far parte del Regno d'Italia e rimane sede di comune.
Le vicende del secondo dopo guerra sono note: l'esodo della stragrande maggioranza della popolazione in Italia e nel mondo, l'afflusso di popolazioni dall'interno della Slovenia, dell'Istria e dalla pensiola balcanica.
Nel 1975 il Trattato di Osimo chiude il contenzioso di confine tra l'Italia e l'allora Jugoslavia. Capodistria è definitivamente parte della Slovenia, che nel 1991 diventa uno stato indipendente. La popolazione nel frattempo è cresciuta di numero e con essa l'economia locale: il porto »Luka Koper«, l'azienda petrolifera »Istrabenz«, l'impresa di trasporti »Intereuropa«, l'istiruto finanziario »Banka Koper«, la società assicurativa »Adriatic« sono i soggetti economici di maggiore importanza per lo sviluppo economico odierno della città.
http://www.cancapodistria.org/it/breve-storia-di-capodistria.html
L'antico nome romano, Capris, deriverebbe invece dal fatto che l'isola era un luogo adibito all'allevamewnto delle capre. Inizialmente non esisteva come centro urbano; probabilmente furono proprio i Romani i primi a colonizzare in parte l'isolotto roccioso, modestamente elevato sulla superficie del mare, e sul quale si sviluppo più tardi Capodistria.
Già molti secoli prima, però, esisteva alla foce del fiume Risano, ai piedi della vicina altura di Sermino, un approdo ed un emporio. Qui avvenivano gli scambi fra le merci e gli schiavi che arrivavano dal nord, via terra, e dal sud, via mare. E' probabile che Aegida fosse il nome proprio di questo emporio, che lo storico romano Plinio il Giovane situò tra la foce del Risano ed il municipio romano di Parenzo. Allorché nel 16 a.C. la penisola istriana entrò a far parte della »X Regio Venetia e Histria«. la località venne completamente romanizzata. Lo confermano i numerosi ritrovamenti di ville rustiche romane e reperti archeologici rinvenuti nell'intera zona del Sermino.
L'isolotto di Capris crebbe d'importanza appena nel V secolo, alla fine dell'epoca romana. Minacciata dalle migrazioni di popolazioni barbariche (Eruli, Visigoti, Ostrogoti e Unni), la popolazione rurale fu costretta a cercare riparo sull'isola, che divenne uno dei punti di riferimento del sistema difensivo del Carso, chiamato Claustra Alpium Juliarum.
Pare che Capodistria abbia avuto una sua chiesa probabilmente già a metà del IV secolo, dopo l'editto di Milano promulgato da Costantino e ricordato da Gregorio Magno. Sembra però che abbia avuto vita breve. Appena nel VI secolo fu formata la diocesi con l'elevazione della chiesa di Capodistria a rango episcopale e con propria sede.
L'antico impero romano d'Oriente, dopo lunghe ed estenuanti lotte contro gli Ostrogoti, nel 539 recuperò l'Istria ed anche i Bizantini si insediarono sull'isolotto. Dopo le successive invasioni degli Avari e degli Slavi, e specialmente dopo l'invasione longobarda del 568, a Capris cercò rifugio pure una parte delle popolazioni dell'agro circostante. L'imperatore bizantino Giustino II permise ai fuggiaschi di insediarvisi e la località fu chiamata in suo onore Justinopolis. Il nome nuovo e quello vecchio continuarono per secoli ad intrecciarsi, tanto che in un documento del 976 troviamo »Justinopolis quae vocatur Capris«.
Le fortificazioni bizantine del VI secolo comprendevano una cinta muraria con nove »porte sante«, in quanto ad ogni porta corrispondeva una cappella dedicata ad un santo.
Durante la dominazione longobarda, grazie alla sua collocazione relativamente sicura, la cittadina rimase più o meno bizantina fino al 788, allorché i Franchi occuparono l'Istria.
Con l'avvento del feudalesimo, Capodistria, come le altre cittadine istriane, dovette subire gli sconvolgimenti dell'antico sistema romano, ancora conservato dai Bizantini.
Già durante il IX secolo Capodistria aveva subito danni alla sua flotta da parte dei pirati saraceni e, per una migliore difesa da questi attacchi e per lo sviluppo dei traffici mercantili, le componenti politiche ed economiche della città iniziarono a rivolgere la loro attenzione su Venezia, che staccatasi da Bisanzio, prepotentemente e rapidamente assurgeva a nuova potenza marinara.
Nel 932 un primo patto commerciale e d'amicizia fu siglato dal comune della città con il doge Candiano II nel quale Capodistria si impegnò per un contributo annuo di cento anfore di vino verso la Repubblica. Fu seguito da un secondo patto nel 1000, che rappresentò, seppure formalmente, l'inizio di un impegno di fedeltà alla Repubblica veneta.
Verso l'anno 1000, la diocesi di Capodistria che all'incirca 250 prima era stata data in commenda al patriarca di Grado, venne unificata con la diocesi di Trieste.
Nel 10036 il comune di Capodistria, che continuò ad esistere pur nello sconvolgimento provocato dall'ordinamento feudale, e pur sottomesso giuridicamente ai marchesi istriani rappresentanti il potere dell'imperatore Corrado II, ottenne da questi certi privilegi, tra cui il diritto di autogovernarsi, e alcuni possedimenti; cercò di conseguire lo stato di libero comune e vi riuscì alternando abili giochi diplomatici fra i patriarchi d'Aquileia ed i veneziani.
Un terzo patto tra le due città marittime fu stretto nel 1145 che rappresentò un successivo graduale avvicinamento ed assoggettamento alle pretese veneziane. Un console veneto visse nella città in qualità di rappresentante della Repubblica e Capodistria fu costretta a fornire a Venezia una galera per ogni sua impresa nell'Adriatico ed a proteggere gli interessi veneziani in Istria. Un nuovo trattato con i Veneziani, nel 1182, favorì Capodistria che ebbe il monopolio marittimo per il commercio del sale della provincia, che era allora un bene immenso.
Nel 1186, accanto al libero comune, che venne rappresentato da un podestà e da quattro consoli, fu ripristinata da papa Alessandro la diocesi, a seguito del concilio Lateranense. La diocesi venne sottoposta al patriarca d'Aquileia.
Il '200 fu un secolo importante e determinante per Capodistria. Nel 1210 fu scelta quale sede principale dei possedimenti istriani dei patriarchi, eletti marchesi d'Istria, che imposero alla città il nome di Capo d'Istria.
Capodistria tentò varie volte di liberarsi dal giogo dei Veneziani, ma non ci riuscì nemmeno con l'aiuto dei conti di Gorizia. Dovette però lottare anche contro colro che volevano limitarne l'autonomia. Nel 1230 il comune di Capodistria formò una lega con altri comuni istriani contro i patriarchi aquileiesi i quali, appoggiati dall'imperatore, volevano distruggere l'autogoverno della città.
Le fazioni che parteggiavano rispettivamente per i patriarchi e per i Veneziani si combatterono per lunghi anni in sanguinose lotte di parte che ricordano quelle tra i guelfi e i ghibellini toscani. Numerosi e vani furono i tentativi di liberarsi dai gravosi impedimenti e legami verso Venezia: le mura e le torri fortificate della città sconfitta furono abbattute dai veneziani che imposero un podestà veneto e pretesero un atto di piena sottomissione e riconoscimento del dominio veneto. L'ultimo tentativo di rielevarsi a libero comune si ebbe nel 1348, ma finì in un massacro di tutti i ribelli e e dei mercenari assoldati e Capodistria dovette nuovamente fare un umiliante atto di sottomissione.
Capodistria rimase sotto il dominio veneto fino al 1797, data che coincise con la fine della Repubblica. Per più di quattro secoli fece parte della vita di Venezia ricevendone l'aspetto più caratteristico e nobile: cinque suoi capitani-podestà furono eletti dogi.
Crebbe d'importanza ed il suo potere si allargò su ben quarantadue località istriane. Nel 1349 Venezia elesse un particolare rappresentante della popolazione slava dell'entroterra con il titolo di »capitaneus sclavorum« cui fu affidata la soluzione dei contrasti e delle questioni più importanti.
Nel corso dei secolo, la città divenne il centro principale dell'intera provincia istriana sotto Venezia. Nel XVI secolo si ebbe la massima espansione demografica della città che raggiunse circa 10.000 abitanti; però, durante la pestilenza del 1553, a Capodistria, si contarono più di 6.000 morti.
Dal 1348 al 1797 Capodistria fu interessata soltanto da vicende locali con continue ingerenze di Venezia, la sua posizione di capoluogo di provincia le dette una forza solo apparente in quanto fu, in realtà, il centro più controllato. Inoltre dovette subire supinamente tutte le conseguenze del secolare confronto della Serenissima con l'impero austriaco.
La terribile pestilenza del 1630 ridusse la sua popolazione da 5.000 a 1.800 persone. Nel 1719, anno in cui Trieste fu dichiarata »porto franco«, segnò il crollo definitivo di Capodistria.
Durante la breve dominazione napoleaonica dal 1806 al 1813, Capodistria fu sede del distretto comprendente i territori di Pinguenzte, Pirano e Parenzo e fu governata da un prefetto. Nel 1809 fu occupata dagli austriaci. Ritornata definitivamente sotto il dominio austriaco, nel 1815, dopo il Congresso di Vienna, Capodistria divenne il naturale retroterra dell'emporio triestino in piena ascesa. Rimase un porto di cabotaggio con poca importanza con una popolazione dedita alla pesca e alla piccola attività marittima e cantieristica locale.
Nel 1819 il vescovado di Capodistria passò sotto la giurisdizione metropolitana del patriarca di venezia, Nel 1830 lo stesso fu sottoposto al nuovo arcivescovado di Gorizia mentre, due anni dopo, fu unito a quello di Trieste. Nel 1861 Capodistria divenne sede del Capitanato distrettuale comprendente i territori di Isola e Pirano.
La seconda metà dell'Ottocento e la prima decade del secolo successivo sono caratterizzati dall'attiovità irredentistica, anche in Istria e a Capodistria. Insorgono gli attriti con gli sloveni del circondario, nasce una pericolosa rivalità tra le due componenti nazionali. Nel 1882 nacque la società di navigazione »Capodistriana« e la città assunse un ruolo notevole nel commercio marittimo e nel traffico passeggeri. Nel 1902 venne ultimata la ferrovia a scartamento ridotto, chiamata »Parenzana«, che univa Trieste a Parenzo via Capodistria. Nel 1910 si inaugurò la prima Esposizione istriana.
Dopo la prima guerra mondiale la città entra a far parte del Regno d'Italia e rimane sede di comune.
Le vicende del secondo dopo guerra sono note: l'esodo della stragrande maggioranza della popolazione in Italia e nel mondo, l'afflusso di popolazioni dall'interno della Slovenia, dell'Istria e dalla pensiola balcanica.
Nel 1975 il Trattato di Osimo chiude il contenzioso di confine tra l'Italia e l'allora Jugoslavia. Capodistria è definitivamente parte della Slovenia, che nel 1991 diventa uno stato indipendente. La popolazione nel frattempo è cresciuta di numero e con essa l'economia locale: il porto »Luka Koper«, l'azienda petrolifera »Istrabenz«, l'impresa di trasporti »Intereuropa«, l'istiruto finanziario »Banka Koper«, la società assicurativa »Adriatic« sono i soggetti economici di maggiore importanza per lo sviluppo economico odierno della città.
http://www.cancapodistria.org/it/breve-storia-di-capodistria.html
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La storia di Pirano
L'antica città marinara di Pirano si estende all'estremo margine dell'omonima penisola, che si restringe gradualmente tra il golfo di Strugnano e quello di Pirano. La penisola termina con punta Madonna, estrema propaggine nord occidentale dell'Istria. L'etimologia del nome Pirano e' controversa: alcuni studiosi propendono per la derivazione dal celtico bior-dun, che significa località sul colle, mentre altri la fanno risalire al greco pyr - fuoco, in quanto nell'antichità' venivano accesi sul promontorio dei fuochi per indicare la rotta ai naviganti che si dirigevano all'attigua colonia di Aegida, vicino all'odierna Capodistria.
La cittadina e' molto pittoresca: le mura con le torri le fanno da corona e, dalle pendici, i tetti rossi degradano, esposti a mezzogiorno, fino a punta Madonna, La città vecchia e' costituita da un complesso di costruzioni venete, nelle strette calli lastricate, fra scalinate e portici, nei campielli e nelle piazzette, le case barocche e gotiche sono numerose, con finestre ad archi acuti, e si inseriscono fra le basse case che furono dei pescatori e dei salinai. Dall'alto di questa propaggine arenacea, dal fianco settentrionale spaccato, rigido e spoglio per l'impeto della bora, irrobustito alla base da una muratura poderosa e da arcate sostenute da piloni appoggiati alla pendice, spicca e signoreggia il Duomo di Pirano, il cui campanile, come un faro, si vede in tutto l'arco del golfo di Trieste.
Oggi la città e' il centro amministrativo del comune e, assieme alla vicina Portorose, importante località di villeggiatura marittima, con numerose istituzioni culturali, case di riposo, alberghi e ristoranti, nonché sede di importanti manifestazioni culturali.
La prima citazione della città fu a cura dell'Anonimo Ravennate, nel sec. VII, che la definì Piranon, nell'elencare nella sua opera Cosmographia i nomi delle località romane della costa occidentale dell'Istria.
Nonostante l'incerta origine del nome, e' fuor di dubbio che già nell'epoca preromana esistevano nell'entroterra insediamenti celtici ed ancor prima del popolo illirico degli Istri, che si occupavano di caccia, di agricoltura, di pesca, ed erano pure dediti alla pirateria, mettendo in pericolo le rotte commerciali dell'Impero Romano nell'Adriatico settentrionale.
Con la conquista romana dell'Istria, avvenuta nel 178/177 a.C. ebbe inizio la colonizzazione della penisola. Così sorsero nelle vicinanze di Pirano le prime ville rustiche, ma un massiccio insediamento della punta risale al periodo successivo che coincide con il declino dell'Impero romano, verso la fine del sec. V, quando per sfuggire alle scorrerie delle popolazioni barbare provenienti da oriente la popolazione soleva rifugiarsi sulle isole e penisole della costa, edificando fortificazioni e castelli in cui trovare riparo.
Pirano divenne nel sec. VII sotto il dominio di Bisanzio un "castrum" importante e ben fortificato e da qui ebbe inizio il suo sviluppo urbano. Già alla fine del sec. VI si ebbero le prime invasioni degli Slavi in Istria, ai quali seguì una graduale colonizzazione slava, che divenne ben accetta solamente all'atto della conquista carolingia, nel 788. I Franchi inclusero amministrativamente l'Istria nella marca del Friuli, sostenendo l'insediamento delle popolazioni slave nell'entro terra e le loro lotte contro la popolazione romana delle città costiere. Dopo la divisione dell'Impero franco l'Istria passò nell'843 al ragno d'Italia, mentre nel 952 divenne possesso bavarese, nel 976 passò alla Carinzia, ed infine al Patriarcato di Aquileia.
Pirano lottò per avere una propria legislazione e per tentare di liberarsi dall'autorità dei signori feudali, onde poter gestire in piena autonomia i propri traffici e commerci. Fu libero comune nel 1186 e trovò un potente alleato in Venezia, alla quale si assoggettò dal 1283, rimanendole fedele, come tutte le città della costa occidentale istriana, sino al 1797.
La fioritura commerciale ed i traffici con l'entroterra, che portò alle città istriane il legame con Venezia, fece crescere ulteriormente il ruolo delle istituzioni, della cultura e del benessere. Dal sec. XV al sec. XVII però Pirano fu traviata da lotte intestine a carattere sociale tra la nobiltà ed i popolani, che si ribellavano ed esprimevano il loro malcontento per la gestione del patrimonio cittadino, della proprietà delle saline e dei fondi dell'entroterra, esclusivamente da parte della classe nobiliare, nonché rivendicando inoltre maggiori diritti politici.
In Istria si estese anche il protestantesimo, che trovò a Pirano i suoi primi accoliti negli anni '30 del sec. XVI.
Nel sec. XVII e nel sec. XVIII la società borghese visse a Pirano l'atmosfera dell'umanesimo e del rinascimento, cui illustre esponente nel sec. XVII fu il medico Prospero Petronio. Verso la fine dello stesso secolo (nel 1692) nacque a Pirano il sommo violinista e compositore Giuseppe Tartini, autore di oltre 300 opere musicali, alcune delle quali sono considerate tra le migliori composizioni del sec. XVIII.
La prima dominazione austriaca dal 1797 al 1805 ed il breve periodo di predominio delle autorità francesi nell'ambito del Regno d'Italia (1805 - 1809) e delle Provincie illiriche di Napoleone (1809 - 1813) portarono alla città, oltre ai cambiamenti amministrativi, sociali e politici, anche alcuni interventi urbanistici di entità minore nel tessuto urbano e nell'entroterra.
L’Austria imperiale portò nel sec. XIX a Pirano un periodo di benessere, al quale contribuirono specie le saline, in quanto l'Austria, con la rivitalizzazione della produzione del sale, aumentò sostanzialmente le capacità delle saline di Sicciole, che raggiunsero una produzione annua di circa 40.000 tonnellate.
Un ulteriore contributo allo sviluppo fu fornito dall'apertura della linea ferroviaria a scartamento ridotto Parenzo - Trieste, detta Parenzana, inaugurata nel 1902. Nello stesso periodo iniziò a svilupparsi una delle attività che oggi e' tra le più importanti della città: il turismo. A Portorose si sviluppò soprattutto il turismo termale e di cura, che portò alla località dal clima mite e piacevole notorietà ed il titolo della migliore stazione di villeggiatura dell'Adriatico orientale.
Dopo la prima guerra mondiale questi territori passarono all'Italia in base al Trattato di Rapallo e, con la venuta al potere del fascismo, sorse in Istria nella popolazione sia dell'entroterra sia delle città costiere il movimento antifascista, che raggiunse il suo apice durante la guerra di liberazione popolare nel periodo dal 1941 al 1945.
Dopo i tragici eventi del primo dopoguerra e l'esodo della maggior parte della popolazione Pirano fu annessa definitivamente alla Jugoslavia e, dalla dissoluzione di quest'ultima nel 1991, fa parte della Repubblica della Slovenia.
Piazza Tartini divenne la piazza centrale della città alla fine del sec. XIII, ma ha assunto l'attuale fisionomia alla fine del sec. XIX, quando fu interrato il porticciolo per creare una vasta area urbana, ai margini della quale si ergono tutte le istituzioni municipali più importanti (il comune, il tribunale ecc.) ed i palazzi dei notabili, tra i quali si e' conservata nella sua forma originale unicamente la Casa Veneziana. La piazza e' stata dedicata a Giuseppe Tartini, sommo violinista e compositore (1692 - 1770), a cui Pirano diede i natali.
La città, che già da sola e' una collezione di sculture e portali, di architettura sacra e profana, ha una peculiarità: la collezione di sculture moderne all'aperto, sita sulla penisola si Sezza, di fronte a Portorose. Il simposio internazionale di scultura "Forma viva", istituito nel 1961 su iniziativa degli artisti Jakob Savinšek e Janez Lenassi, ospita oggi oltre 200 sculture monumentali, create nell'ambito del tradizionale incontro che le Gallerie costiere di Pirano continuano ad organizzare con successo.
http://www.portoroz.si/it/storia-di-pirano
La cittadina e' molto pittoresca: le mura con le torri le fanno da corona e, dalle pendici, i tetti rossi degradano, esposti a mezzogiorno, fino a punta Madonna, La città vecchia e' costituita da un complesso di costruzioni venete, nelle strette calli lastricate, fra scalinate e portici, nei campielli e nelle piazzette, le case barocche e gotiche sono numerose, con finestre ad archi acuti, e si inseriscono fra le basse case che furono dei pescatori e dei salinai. Dall'alto di questa propaggine arenacea, dal fianco settentrionale spaccato, rigido e spoglio per l'impeto della bora, irrobustito alla base da una muratura poderosa e da arcate sostenute da piloni appoggiati alla pendice, spicca e signoreggia il Duomo di Pirano, il cui campanile, come un faro, si vede in tutto l'arco del golfo di Trieste.
Oggi la città e' il centro amministrativo del comune e, assieme alla vicina Portorose, importante località di villeggiatura marittima, con numerose istituzioni culturali, case di riposo, alberghi e ristoranti, nonché sede di importanti manifestazioni culturali.
La prima citazione della città fu a cura dell'Anonimo Ravennate, nel sec. VII, che la definì Piranon, nell'elencare nella sua opera Cosmographia i nomi delle località romane della costa occidentale dell'Istria.
Nonostante l'incerta origine del nome, e' fuor di dubbio che già nell'epoca preromana esistevano nell'entroterra insediamenti celtici ed ancor prima del popolo illirico degli Istri, che si occupavano di caccia, di agricoltura, di pesca, ed erano pure dediti alla pirateria, mettendo in pericolo le rotte commerciali dell'Impero Romano nell'Adriatico settentrionale.
Con la conquista romana dell'Istria, avvenuta nel 178/177 a.C. ebbe inizio la colonizzazione della penisola. Così sorsero nelle vicinanze di Pirano le prime ville rustiche, ma un massiccio insediamento della punta risale al periodo successivo che coincide con il declino dell'Impero romano, verso la fine del sec. V, quando per sfuggire alle scorrerie delle popolazioni barbare provenienti da oriente la popolazione soleva rifugiarsi sulle isole e penisole della costa, edificando fortificazioni e castelli in cui trovare riparo.
Pirano divenne nel sec. VII sotto il dominio di Bisanzio un "castrum" importante e ben fortificato e da qui ebbe inizio il suo sviluppo urbano. Già alla fine del sec. VI si ebbero le prime invasioni degli Slavi in Istria, ai quali seguì una graduale colonizzazione slava, che divenne ben accetta solamente all'atto della conquista carolingia, nel 788. I Franchi inclusero amministrativamente l'Istria nella marca del Friuli, sostenendo l'insediamento delle popolazioni slave nell'entro terra e le loro lotte contro la popolazione romana delle città costiere. Dopo la divisione dell'Impero franco l'Istria passò nell'843 al ragno d'Italia, mentre nel 952 divenne possesso bavarese, nel 976 passò alla Carinzia, ed infine al Patriarcato di Aquileia.
Pirano lottò per avere una propria legislazione e per tentare di liberarsi dall'autorità dei signori feudali, onde poter gestire in piena autonomia i propri traffici e commerci. Fu libero comune nel 1186 e trovò un potente alleato in Venezia, alla quale si assoggettò dal 1283, rimanendole fedele, come tutte le città della costa occidentale istriana, sino al 1797.
La fioritura commerciale ed i traffici con l'entroterra, che portò alle città istriane il legame con Venezia, fece crescere ulteriormente il ruolo delle istituzioni, della cultura e del benessere. Dal sec. XV al sec. XVII però Pirano fu traviata da lotte intestine a carattere sociale tra la nobiltà ed i popolani, che si ribellavano ed esprimevano il loro malcontento per la gestione del patrimonio cittadino, della proprietà delle saline e dei fondi dell'entroterra, esclusivamente da parte della classe nobiliare, nonché rivendicando inoltre maggiori diritti politici.
In Istria si estese anche il protestantesimo, che trovò a Pirano i suoi primi accoliti negli anni '30 del sec. XVI.
Nel sec. XVII e nel sec. XVIII la società borghese visse a Pirano l'atmosfera dell'umanesimo e del rinascimento, cui illustre esponente nel sec. XVII fu il medico Prospero Petronio. Verso la fine dello stesso secolo (nel 1692) nacque a Pirano il sommo violinista e compositore Giuseppe Tartini, autore di oltre 300 opere musicali, alcune delle quali sono considerate tra le migliori composizioni del sec. XVIII.
La prima dominazione austriaca dal 1797 al 1805 ed il breve periodo di predominio delle autorità francesi nell'ambito del Regno d'Italia (1805 - 1809) e delle Provincie illiriche di Napoleone (1809 - 1813) portarono alla città, oltre ai cambiamenti amministrativi, sociali e politici, anche alcuni interventi urbanistici di entità minore nel tessuto urbano e nell'entroterra.
L’Austria imperiale portò nel sec. XIX a Pirano un periodo di benessere, al quale contribuirono specie le saline, in quanto l'Austria, con la rivitalizzazione della produzione del sale, aumentò sostanzialmente le capacità delle saline di Sicciole, che raggiunsero una produzione annua di circa 40.000 tonnellate.
Un ulteriore contributo allo sviluppo fu fornito dall'apertura della linea ferroviaria a scartamento ridotto Parenzo - Trieste, detta Parenzana, inaugurata nel 1902. Nello stesso periodo iniziò a svilupparsi una delle attività che oggi e' tra le più importanti della città: il turismo. A Portorose si sviluppò soprattutto il turismo termale e di cura, che portò alla località dal clima mite e piacevole notorietà ed il titolo della migliore stazione di villeggiatura dell'Adriatico orientale.
Dopo la prima guerra mondiale questi territori passarono all'Italia in base al Trattato di Rapallo e, con la venuta al potere del fascismo, sorse in Istria nella popolazione sia dell'entroterra sia delle città costiere il movimento antifascista, che raggiunse il suo apice durante la guerra di liberazione popolare nel periodo dal 1941 al 1945.
Dopo i tragici eventi del primo dopoguerra e l'esodo della maggior parte della popolazione Pirano fu annessa definitivamente alla Jugoslavia e, dalla dissoluzione di quest'ultima nel 1991, fa parte della Repubblica della Slovenia.
Piazza Tartini divenne la piazza centrale della città alla fine del sec. XIII, ma ha assunto l'attuale fisionomia alla fine del sec. XIX, quando fu interrato il porticciolo per creare una vasta area urbana, ai margini della quale si ergono tutte le istituzioni municipali più importanti (il comune, il tribunale ecc.) ed i palazzi dei notabili, tra i quali si e' conservata nella sua forma originale unicamente la Casa Veneziana. La piazza e' stata dedicata a Giuseppe Tartini, sommo violinista e compositore (1692 - 1770), a cui Pirano diede i natali.
La città, che già da sola e' una collezione di sculture e portali, di architettura sacra e profana, ha una peculiarità: la collezione di sculture moderne all'aperto, sita sulla penisola si Sezza, di fronte a Portorose. Il simposio internazionale di scultura "Forma viva", istituito nel 1961 su iniziativa degli artisti Jakob Savinšek e Janez Lenassi, ospita oggi oltre 200 sculture monumentali, create nell'ambito del tradizionale incontro che le Gallerie costiere di Pirano continuano ad organizzare con successo.
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Novigrad-Cittanova: una storia sulle mura cittadine
Anche se Cittanova e' un posto con poco più di 4000 abitanti, oggi ha il titolo di Città, come d'altronde l'aveva in passato. A vantaggio di questa causa gioca anche la terminologia storica che spiega, se ci cingiamo con una spiegazione breve, che una città e' quel posto che e' circondato dalle mura e possiede un'autonomia locale. Cittanova possedeva sia l'uno che l'altro e di questo ci parla un manoscritto del 1754 che contiene la trascrizione dello statuto cittanovese del 1401. Come atto legale di base che regola la vita legislativa di una comunità, la completa procedura legale e la giurisdizione, lo statuto testimonia che Cittanova all'inizio del 15 sec. aveva il titolo di città - comune. Nello statuto sono menzionate anche le mura cittanovesi e la cura delle stesse da parte del potere cittadino. Ovvio che Cittanova e le sue mura sono più antiche della data menzionata. Esiste il parere che tra le città istriane "quasi non esista una città che abbia i propri debutti sul palcoscenico storico così avvolti nella nebbia e tante convergenze dei storici come e' il caso di Cittanova". La genesi di Cittanova come paese su di un’isola costiera (solo nell'età' moderna tramite inghiaiamento e' stata formata la penisola) fino ad oggi non e' ancora stata rivelata del tutto. La scienza moderna (Cuscito 1997, Ujčić 1997, Jurković-Matejčić 2003) ha abbandonato le tesi antiche che identificavano Cittanova con toponimi Emonia o Emona. Quello che tutti gli autori moderni vogliono sottolineare e' l'esistenza di Cittanova nel tardo periodo antico come del castrum o castellum tardo-antico, vale a dire paese civile con possibilità di difesa (Matijašić, 2002). L'autore menzionato conferma la propria tesi anche con il solo nome della città che viene menzionata nelle fonti come Neapolis, Civitas Nova e Castellum Novas. Malgrado la mancanza di maggiori ricerche archeologiche Marušić (1989) ha designato alla città tardo-antica sia il perimetro di estensione che il retino urbano con i quali accordano anche altri autori. Per quanto riguarda il nostro tema e' importante sottolineare che questo raggio con una piccola parte a nord e a sud dalla Porta Terraferma, coincide con il perimetro delle mura cittadine conservate fino ad oggi. Questa attraente circostanza archeologica e' stata intuita molto chiaramente già da Parentin (1974) che menzionava le remote radici della tradizione dell'inserimento della chiesa (Spirito Santo) nella torre vicino alla porta principale cittadina. Il periodo dell'alto Medioevo nella storia istriana proprio negli ultimi anni era contrassegnato da grandi attività interdisciplinari di ricerca alle quali si sono dedicati, oltre ai ricercatori croati, italiani e sloveni, anche altri, soprattutto professionisti francesi. La tesi conosciuta già da tempo su Cittanova come centro dell'alta amministrazione franca dove aveva residenza il duca (dux) Giovanni, e' confermata da nuovi reperti materiali e proprio di una reinterpretazione sensazionale dell'architettura e della scultura della chiesa parrocchiale di San Pelagio, che una volta era cattedrale, e della sua cripta (Matejčić, Jurković). Tutto sommato, il significato chiave che aveva Cittanova nel periodo dell'alta amministrazione carolingia, verrà sicuramente confermato con nuove analisi come anche con ampie conclusioni di quelli che si riferiscono all'architettura e la scultura sacrale analizzata fin ora. Con queste osservazioni bisogna aggiungere che Cittanova registra invasioni già nell'alto Medioevo (croati, saraceni) che sono sicuramente risultate in constanti rinnovamenti e rafforzamenti delle mura. Anche se ancora per secoli non apparterrà formalmente a Venezia e nella lotta per l'indipendenza, in alleanza con altre città costiere istriane, cercherà di opporsi con le armi a questa potenza dell'Adriatico in ribalta, Cittanova già verso la fine dell'Alto Medioevo gradualmente entra nella sfera d'interesse della Repubblica veneziana. Nel tardo Medioevo Cittanova e' nel potere di diversi feudatari tedeschi e poi nelle mani del patriarca d'Aquileia. Nell'anno 1270 la città e' stata formalmente sottomessa da Venezia il che ovviamente significava uno scontro con Genova. Le sue truppe hanno devastato in maniera rilevante Cittanova verso la fine del 14 secolo. Con il susseguirsi di avvenimenti storici l'attuale aspetto delle mura appartiene quasi completamente al periodo dell'amministrazione veneta. Nella piccola, e quasi sempre troppo povera Cittanova veneta (a differenza della Cittanova del periodo carolingio quando era una ricca sede amministrativa), ovvio che le mura non sono state progettate da Michele o Gian Girolamo Sanmicheli, Sforza Pallavicini o qualcun'altro dalla sfera dei grandi della ingegneria militare veneziana. E' un'opera questa di grandi maestri locali che dopo la formazione di bassi bastioni, a lungo e con perseveranza in un loro modo arcaico, innalzavano e riparavano le alte mura costruite con pietra istriana con la merlatura caratteristica. Oltre la povertà e l'inerzia si trattava qui anche di una particolare tradizione. Nei secoli a susseguirsi registriamo grandi lavori sulla costruzione e riparazione delle mura che in maniera chiara testimoniano gli stemmi delle podestà del periodo. Si trovavano, e in parte vi si trovano ancora, sulle mura cittadine. Nell'Evo moderno, soprattutto per la paura dei turchi, i podestà continuano con la riparazione e la costruzione del sistema di fortificazione cittanovese, che e' di per se documentato con rilevanti reperti materiali e fonti scritte. Anche se i centri della guerra degli uscocchi e della guerra di Candia erano lontani da Cittanova, incombeva in ogni modo la minaccia dei saccheggi dal mare. L'infelice Cittanova non e' stata risparmiata da nessuno dei pericoli menzionati. Cittanova ha patito un'enorme perdita durante l'improvvisa irruzione dei turchi nel 1687. Questo e' il periodo di culminazione del plurisecolare impoverimento e spopolamento di Cittanova. La città precedentemente colpita dalla malaria e' stata poi colpita dalla collera e la popolazione ha raggiunto le trenta famiglie. Nel 18 secolo comincia il ristabilimento e così nel paese si registra un'importante attività edilizia. Le vecchie strutture medievali e rinascimentali si ricostruiscono e collegano in entità più grandi del tipo barocco. L'ultima parte le mura l'hanno avuta durante l'embargo continentale e le guerre napoleoniche, quando i francesi mantenevano la roccaforte vicino al palazzo parrocchiale. Dopo di questo e fino all'era moderna e i primi interventi della sovrintendenza alle antichità, esse servivano ai cittanovesi come "cava di pietra", i.e. come fonte del materiale edile per la costruzione delle case. Sulle mura cittadine si potrebbero scrivere tante storie. Una di queste potrebbe parlare di loro come monumento architettonico cittanovese più completo. Ma prima di tutte le storie, le nostre mura testimoniano del tempo che e' dietro di noi, di un ricco patrimonio storico - culturale cittanovese che non appartiene soltanto allo spazio autoctono: con l'intreccio di rapporti e influssi reciproci essa diventa parte integrante non soltanto degli avvenimenti storici croati ma anche di quelli europei. Infine, le mura cittadine parlano anche dell'identità' di Cittanova che, cosciente del proprio passato, cerca di salvaguardare i propri valori e significati per la futura prole.
Jerica Ziherl
(pubblicato nel libro dell'organizzazione internazionale delle citta circondate dalle mura (WTFC))
http://www.novigrad.hr/IT/ngd_content/ongd_povijest2.htm
Jerica Ziherl
(pubblicato nel libro dell'organizzazione internazionale delle citta circondate dalle mura (WTFC))
http://www.novigrad.hr/IT/ngd_content/ongd_povijest2.htm
lunedì 25 ottobre 2010
Parenzo e la sua storia
I più antichi reperti della presenza umana nella zona di Parenzo risalgono a 4000 anni fa e si trovano a Picugi e Mordele, colline dove sono stati trovati i resti di edifici, tombe, ceramiche, strumenti e armi appartenuti ad una civiltà finora sconosciuta e agli Histri, antico popolo che abitò questi luoghi.
Parenzo ha 2000 anni. Al suo posto esisteva un paese ma lo sviluppo della città iniziò con l'arrivo dell'esercito romano, quando la cittadina fu trasformata in un castrum. Nel primo secolo Parenzo divenne una colonia romana e ottenne lo status di città acquisendo il nome di Colonia Iulia Parentium. Le mura della città furono costruite già nel IV secolo mentre nel V secolo fu costruita la famosa Basilica Eufrasiana. Dopo la caduta di Roma, gli Ostrogoti entrarono in città mentre ben presto il potere passò all'Impero Bizantino. I croati arrivarono qui nel sesto secolo e costruirono il primo insediamento permanente. Alla fine del VII secolo la città cadde sotto l'autorità dei Franchi, ebbe un breve periodo d'indipendenza nel XII secolo e poi passò sotto l'autorità dei patriarchi di Aquileia.
Nell’anno 1267 Parenzo divenne la prima città in Istria che riconobbe il potere della Repubblica di Venezia. I Veneziani furono i padroni di Parenzo per più di cinque secoli. Durante questo periodo, tra le altre cose, fu costruito il faro sull'isola di San Nicolò la quale si trova di fronte alla città. A quei tempi, con un’altezza di 15 metri, era il faro più alto sul mare Adriatico.
Alla fine del 18-esimo secolo la città fu occupata da Napoleone mentre nel 1797 cadde nelle mani dell’Impero Austriaco. Nel 1845 fu stampata la prima guida turistica della città con foto e descrizioni dei luoghi. Nel 1861 Parenzo divenne la capitale dell'Istria e la sede di tutte le istituzioni di quei tempi. Nel 1902 fu costruita la Parenzana che collegava Parenzo a Trieste e nel 1910 fu costruito il primo albergo. Dal 1920 fino al 1943 la città fu sotto il dominio italiano, quando divenne finalmente una parte della Croazia. Nel 1944 Parenzo fu gravemente danneggiata durante il bombardamento alleato quando la parte vecchia della città sparì letteralmente e molte delle sue parti furono gravemente danneggiate. Nel 1991 entra a far parte della Repubblica indipendente della Croazia.
http://www.histrica.com/it/istria/blu/parenzo/
Parenzo ha 2000 anni. Al suo posto esisteva un paese ma lo sviluppo della città iniziò con l'arrivo dell'esercito romano, quando la cittadina fu trasformata in un castrum. Nel primo secolo Parenzo divenne una colonia romana e ottenne lo status di città acquisendo il nome di Colonia Iulia Parentium. Le mura della città furono costruite già nel IV secolo mentre nel V secolo fu costruita la famosa Basilica Eufrasiana. Dopo la caduta di Roma, gli Ostrogoti entrarono in città mentre ben presto il potere passò all'Impero Bizantino. I croati arrivarono qui nel sesto secolo e costruirono il primo insediamento permanente. Alla fine del VII secolo la città cadde sotto l'autorità dei Franchi, ebbe un breve periodo d'indipendenza nel XII secolo e poi passò sotto l'autorità dei patriarchi di Aquileia.
Nell’anno 1267 Parenzo divenne la prima città in Istria che riconobbe il potere della Repubblica di Venezia. I Veneziani furono i padroni di Parenzo per più di cinque secoli. Durante questo periodo, tra le altre cose, fu costruito il faro sull'isola di San Nicolò la quale si trova di fronte alla città. A quei tempi, con un’altezza di 15 metri, era il faro più alto sul mare Adriatico.
Alla fine del 18-esimo secolo la città fu occupata da Napoleone mentre nel 1797 cadde nelle mani dell’Impero Austriaco. Nel 1845 fu stampata la prima guida turistica della città con foto e descrizioni dei luoghi. Nel 1861 Parenzo divenne la capitale dell'Istria e la sede di tutte le istituzioni di quei tempi. Nel 1902 fu costruita la Parenzana che collegava Parenzo a Trieste e nel 1910 fu costruito il primo albergo. Dal 1920 fino al 1943 la città fu sotto il dominio italiano, quando divenne finalmente una parte della Croazia. Nel 1944 Parenzo fu gravemente danneggiata durante il bombardamento alleato quando la parte vecchia della città sparì letteralmente e molte delle sue parti furono gravemente danneggiate. Nel 1991 entra a far parte della Repubblica indipendente della Croazia.
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mercoledì 20 ottobre 2010
A Strugnano, all’osteria Pod Trto
Siamo in Slovenia, è circa l’una e non sappiamo dove andare a mangiare un boccone. Al solito, decidiamo di andare a caso. Vediamo che il ristorante è chiuso, e optiamo per l’osteria. Mai scelta fu più felice. Arrivarci è semplice, sulla vecchia strada al semaforo si gira a destra, venendo da Capodistria, e poi subito a destra. Cinquanta metri a sinistra ecco l’osteria, con un gran parcheggio davanti.
Il Pod Trto si presenta subito bene, con un cameriere veloce e competente. La scelta è tra carne e pesce, e decidiamo per la carne, optando per una grigliata mista.
E’arrivato un piattone di carne, con un contorno immenso di patate, naturalmente con salsa e cipolle. La carne era tenerissima, come l’abbiamo mangiata solo in Slovenia. Naturalmente acqua e vino bianco hanno accompagnato il tutto(anche se era di rigore rosso, ce ne siamo fregati e abbiamo optato per un bianco niente male). Il tutto a un prezzo più che decoroso.
Grazie a loro e alla loro ospitalità.
Indirizzo: Strunjan 32, 6320 Portorož
Telefono: ++386 5 678 23 72
http://www.slovenia.info/it/gostilne/Osteria-Pod-trto.htm?gostilne=2601&lng=4
Il Pod Trto si presenta subito bene, con un cameriere veloce e competente. La scelta è tra carne e pesce, e decidiamo per la carne, optando per una grigliata mista.
E’arrivato un piattone di carne, con un contorno immenso di patate, naturalmente con salsa e cipolle. La carne era tenerissima, come l’abbiamo mangiata solo in Slovenia. Naturalmente acqua e vino bianco hanno accompagnato il tutto(anche se era di rigore rosso, ce ne siamo fregati e abbiamo optato per un bianco niente male). Il tutto a un prezzo più che decoroso.
Grazie a loro e alla loro ospitalità.
Indirizzo: Strunjan 32, 6320 Portorož
Telefono: ++386 5 678 23 72
http://www.slovenia.info/it/gostilne/Osteria-Pod-trto.htm?gostilne=2601&lng=4
martedì 19 ottobre 2010
L’arrosto di lonza di maiale alle mele di Sassilat
Un sabato mattina abbiamo visitato l’azienda agricola Sassilat,ben spronati da un nostro conoscente. Pensavamo di vedere un semplice laboratorio di salumeria, ed invece appare ai nostri occhi una bella struttura, tanto che se non c’era il cartello pensavamo a una qualsiasi industria.
Una volta entrati, ho visto il rotolo di lonza di maiale alle mele, ed ho pensato bene di acquistarlo e portarlo a casa.
Ci ho aggiunto olio, vino bianco, un po’di pepe,un po’di sale,chiodi di garofano,alcuni spicchi di mele. Poi in forno a 180 gradi per un’ora e mezza. Contorno patate arrosto e vino rosso umbro. Il risultato è delizioso. Così ho provato i loro prodotti.
Nella denominazione hanno voluto identificarsi con il nome della località nativa, pronunciata in dialetto: Sassilat da Sacilato, frazione di Fossalta di Portogruaro (Ve).
In questo luogo ci sono le loro origini, i ricordi più belli legati alle tradizioni contadine, dove ogni stagione era scandita da un lavoro specifico che ogni anno si ripeteva puntualmente come un rito.
È così che, con l’arrivo del freddo, arrivava la stagione del Maiale e la sua macellazione era una festa per tutta la famiglia. È proprio l’affettuoso rispetto che loro, e noi con loro, portano per questo animale che li ha spinti a intraprendere a livello più organizzato l’arte della norcineria, tramandata dallo zio Santin e da papà Zeno con la sapienza che arriva da tanta esperienza.
Via Alessandro Manzoni, 81
Fossalta di Portogruaro - Venezia Italia
http://www.salumeriasassilat.com/
email: info@salumeriasassilat.com/
Tel. 0421 709133
Una volta entrati, ho visto il rotolo di lonza di maiale alle mele, ed ho pensato bene di acquistarlo e portarlo a casa.
Ci ho aggiunto olio, vino bianco, un po’di pepe,un po’di sale,chiodi di garofano,alcuni spicchi di mele. Poi in forno a 180 gradi per un’ora e mezza. Contorno patate arrosto e vino rosso umbro. Il risultato è delizioso. Così ho provato i loro prodotti.
Nella denominazione hanno voluto identificarsi con il nome della località nativa, pronunciata in dialetto: Sassilat da Sacilato, frazione di Fossalta di Portogruaro (Ve).
In questo luogo ci sono le loro origini, i ricordi più belli legati alle tradizioni contadine, dove ogni stagione era scandita da un lavoro specifico che ogni anno si ripeteva puntualmente come un rito.
È così che, con l’arrivo del freddo, arrivava la stagione del Maiale e la sua macellazione era una festa per tutta la famiglia. È proprio l’affettuoso rispetto che loro, e noi con loro, portano per questo animale che li ha spinti a intraprendere a livello più organizzato l’arte della norcineria, tramandata dallo zio Santin e da papà Zeno con la sapienza che arriva da tanta esperienza.
Via Alessandro Manzoni, 81
Fossalta di Portogruaro - Venezia Italia
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giovedì 14 ottobre 2010
Verteneglio, un paese ridente
Siamo stati a Verteneglio, edè un paese bello e ben tenuto. Vediamo un poco la storia.Al 1234 risale il più antico riferimento documentario alla località, presente in un atto di confinazione tra i territori di Cittanova e di S. Giorgio, quest’ultimo castello medievale alla foce del Quieto. Nel documento, il conte Mainardo è chiamato a decidere, quale arbitro, una questione vertente tra Vosalco di Momiano, Enrico di Pisino nonché il Comune di Cittanova da una parte, e Vidotto e Flabiano signori di S. Giorgio dall’altra. Tra le varie località nominate nel documento appare anche Ortoneglo (Verteneglio). Nel Cinquecento Verteneglio doveva essere già una borgata notevole se nei mesi estivi vi soggiornavano i vescovi emoniensi per sfuggire alla malaria. Sappiamo che proprio a Verteneglio, nel 1621, Massimo Rigo, vicario di Eusebio Caimo vescovo di Cittanova già canonico di Aquileia, dava una pergamena con la quale si voleva por fine alle liti sorte tra alcune famiglie buiesi per il diritto di nomina del prete addetto alla locale chiesa della Beata Vergine delle Grazie. Il Caimo, anzi, finì con il morire a Verteneglio il 18 ottobre 1640 e la sua salma fu trasportata ad Udine nella chiesa della Beata Vergine delle Grazie.
Nella seconda metà del XVI secolo la borgata faceva parte delle parrocchie soggette a Cittanova, ma si apprestava a diventare parrocchia autonoma. Ciò avvenne il 27 gennaio 1580 con la visita apostolica del vescovo Agostino Valier. Come le altre località istriane, anche la nostra ebbe a soffrire le ripetute epidemie di peste. La mancanza di dati a riguardo non ci permette di affermare con certezza se fu risparmiata dal contagio prima del Seicento. Certamente non lo fu dall’epidemia del 1630 –31 che decimò la popolazione locale riducendola da 587 anime a 326. Verteneglio, dopo la peste, si riprese rapidamente. La borgata, favorita dal clima e dal terreno fertile, attirò molte famiglie dai paesi vicini, specialmente da Cittanova dove allora infieriva sia la peste che la malaria. Tra nuove famiglie che si insediarono ricorderemo i Rigo e i Busin, grossi proprietari terrieri e commercianti in legname, pollami e prodotti alimentari. Dal Friuli vennero boscaioli, artigiani, negozianti e coloni e la popolazione crebbe rapidamente attestandosi sui livelli precedenti l’epidemia. Strettamente legato alla peste è il problema della colonizzazione, intrapreso dalla Repubblica di Venezia per ridare vita all’agricoltura e all’economia in generale. L’insediamento di nuovi coloni si effettuava mediante l’investitura, per cui venivano concessi fondi e casali con l’obbligo al pagamento in natura del terratico e delle vigesime ecclesiastiche. Già sul finire del XV secolo la Repubblica di Venezia stanziò a Verteneglio e nella campagna circostante una trentina di famiglie dalmato-montenegrine, la cui presenza è documentata dai cognomi alcuni dei quali ancor oggi esistenti: Barnabà, Covra, Da Lesina (Delesina), Doz. Nel 1530 s’ebbero altri insediamenti nelle campagne di Buie e Cittanova ed, in seguito, negli anni 1540-41, furono ripopolate con Morlacchi e Dalmati le campagne abbandonate di Umago e nuovamente di Buie e Cittanova.
Va detto che questo tipo di colonizzazione non ebbe soltanto ripercussioni sulla struttura etnica del villaggio, ma contribuì anche a modificare le vecchie istituzioni sociali sino allora vigenti. Chi si stabiliva a Verteneglio e diventava proprietario di terre, dopo un decennio, poteva entrare a far parte della vicinìa, una forma assocciativa nella quale nuclei di coltivatori erano riuniti dall’uso o dalla proprietà dei terreni, dei pascoli, dei boschi ecc. Il contadino era qui un libero proprietario che coltivava i suoi poderi, oppure teneva in enfiteusi quelli dei proprietari appartenenti alla stessa vicinìa. Verteneglio era l'unica villa di Cittanova ricca di cereali, vino e olio; dalla Serenissima ricevette in affitto perpetuo il Bosco Cavalier e, nel 1574 la finida de Ortal e quella di Punta Comune in seguito usurpata dai Conti Sabini feudatari di Daila.
http://www.brtonigla-verteneglio.hr/
Nella seconda metà del XVI secolo la borgata faceva parte delle parrocchie soggette a Cittanova, ma si apprestava a diventare parrocchia autonoma. Ciò avvenne il 27 gennaio 1580 con la visita apostolica del vescovo Agostino Valier. Come le altre località istriane, anche la nostra ebbe a soffrire le ripetute epidemie di peste. La mancanza di dati a riguardo non ci permette di affermare con certezza se fu risparmiata dal contagio prima del Seicento. Certamente non lo fu dall’epidemia del 1630 –31 che decimò la popolazione locale riducendola da 587 anime a 326. Verteneglio, dopo la peste, si riprese rapidamente. La borgata, favorita dal clima e dal terreno fertile, attirò molte famiglie dai paesi vicini, specialmente da Cittanova dove allora infieriva sia la peste che la malaria. Tra nuove famiglie che si insediarono ricorderemo i Rigo e i Busin, grossi proprietari terrieri e commercianti in legname, pollami e prodotti alimentari. Dal Friuli vennero boscaioli, artigiani, negozianti e coloni e la popolazione crebbe rapidamente attestandosi sui livelli precedenti l’epidemia. Strettamente legato alla peste è il problema della colonizzazione, intrapreso dalla Repubblica di Venezia per ridare vita all’agricoltura e all’economia in generale. L’insediamento di nuovi coloni si effettuava mediante l’investitura, per cui venivano concessi fondi e casali con l’obbligo al pagamento in natura del terratico e delle vigesime ecclesiastiche. Già sul finire del XV secolo la Repubblica di Venezia stanziò a Verteneglio e nella campagna circostante una trentina di famiglie dalmato-montenegrine, la cui presenza è documentata dai cognomi alcuni dei quali ancor oggi esistenti: Barnabà, Covra, Da Lesina (Delesina), Doz. Nel 1530 s’ebbero altri insediamenti nelle campagne di Buie e Cittanova ed, in seguito, negli anni 1540-41, furono ripopolate con Morlacchi e Dalmati le campagne abbandonate di Umago e nuovamente di Buie e Cittanova.
Va detto che questo tipo di colonizzazione non ebbe soltanto ripercussioni sulla struttura etnica del villaggio, ma contribuì anche a modificare le vecchie istituzioni sociali sino allora vigenti. Chi si stabiliva a Verteneglio e diventava proprietario di terre, dopo un decennio, poteva entrare a far parte della vicinìa, una forma assocciativa nella quale nuclei di coltivatori erano riuniti dall’uso o dalla proprietà dei terreni, dei pascoli, dei boschi ecc. Il contadino era qui un libero proprietario che coltivava i suoi poderi, oppure teneva in enfiteusi quelli dei proprietari appartenenti alla stessa vicinìa. Verteneglio era l'unica villa di Cittanova ricca di cereali, vino e olio; dalla Serenissima ricevette in affitto perpetuo il Bosco Cavalier e, nel 1574 la finida de Ortal e quella di Punta Comune in seguito usurpata dai Conti Sabini feudatari di Daila.
http://www.brtonigla-verteneglio.hr/
martedì 12 ottobre 2010
La Casa del Sal di Sicciole
Sulla strada del confine fra Slovenia e Croazia, quella costiera, c’è una casa un po’ discosta e sfugge all’occhio, sulla sinistra, mentre sulla destra c’è l’ampia distesa della saline.
E’ la Casa del Sal. una piccola e incantevole casa contadina di tipo familiare, situata nel golfo di Pirano a soli 4 km da Pirano e a 2 km dall’Istria Croata., abitata da Darko e dai suoi avi da innumerevole anni.
La porzione primitiva era molto piccola, se la sono costruita e ampliata direi quasi mattone su mattone, e oggi è una bella casa, con una vista incomparabile. La magnifica vista che si gode dalla casa si apre sul Parco naturale delle saline di Sicciole, dove ancora oggi viene prodotto il sale marino, con sullo sfondo la Croazia e la punta di Salvore.
E’ veramente una chicca: la tradizione, le caratteristiche, un tocco di romanticismo e lo spirito casareccio hanno contribuito all’inserimento della Casa del Sal nel rinomato consorzio Europe of traditions “Case della tradizione”.
E poi l’accoglienza: gli ospiti, sì perché è diventata un agriturismo, vengono viziati con piatti istriani e mediterranei, preparati con frutta e verdura da coltivazione biologica e accompagnati sempre da un bicchiere di buon vino di casa.
CASA DEL SAL
Darko Maršič
Parecag 182, 6333 SICCIOLE, SLOVENIA
Tel: 00 386 41 666857
Fax: 00 386 5 6722016
salaro@casadelsal.com
http://www.casadelsal.com/contents/view/1/language:ita
E’ la Casa del Sal. una piccola e incantevole casa contadina di tipo familiare, situata nel golfo di Pirano a soli 4 km da Pirano e a 2 km dall’Istria Croata., abitata da Darko e dai suoi avi da innumerevole anni.
La porzione primitiva era molto piccola, se la sono costruita e ampliata direi quasi mattone su mattone, e oggi è una bella casa, con una vista incomparabile. La magnifica vista che si gode dalla casa si apre sul Parco naturale delle saline di Sicciole, dove ancora oggi viene prodotto il sale marino, con sullo sfondo la Croazia e la punta di Salvore.
E’ veramente una chicca: la tradizione, le caratteristiche, un tocco di romanticismo e lo spirito casareccio hanno contribuito all’inserimento della Casa del Sal nel rinomato consorzio Europe of traditions “Case della tradizione”.
E poi l’accoglienza: gli ospiti, sì perché è diventata un agriturismo, vengono viziati con piatti istriani e mediterranei, preparati con frutta e verdura da coltivazione biologica e accompagnati sempre da un bicchiere di buon vino di casa.
CASA DEL SAL
Darko Maršič
Parecag 182, 6333 SICCIOLE, SLOVENIA
Tel: 00 386 41 666857
Fax: 00 386 5 6722016
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martedì 5 ottobre 2010
La Rotta dei profumi del mare in Istria: la Sogliola d'oro
La storia dell'Istria e della sua gente è sempre stata intrinsecamente legata al mare ed il passato marittimo delle sue città costiere è chiaramente visibile nella ricchezza delle architetture dei palazzi. Durante l'ultima metà del XX secolo, il mare e la bellezza delle costa istriana hanno contribuito ad un forte sviluppo della regione,rendendola oggi una delle migliori destinazioni turistiche di tutto il mediterraneo.
Assaggiare il pesce bianco di prima qualità preparato sotto sale o in forno con patate o, perchè no, crudo con succo di limone ed olio d'oliva, preparato fresco davanti ai vostri occhi, è una gioia per i palati!
La combinazione della tradizione peschereccia con la ricchezza del mare ed il turismo hanno portato alla fioritura gastronomica della regione costiera istriana.
Per gli amanti del pesce,nell'Istria nord-occidentale, dalla seconda metà di ottobre fino alla metà di novembre si svolge la manifestazione 'Giornate della Sogliola', durante la quale selezionati ristoranti preparano pietanze e menù a base di questo eccellente pesce.
Zlatna švoja - Sogliola d’oro è organizzata dagli enti per il turismo del comprensorio Umago/Cittanova (Umago,Salvore,Buie,Verteneglio e Cittanova) e dall’Ente per il turismo della Contea Istriana, ed è dunque un concorso gastronomico dedicato alle specialità a base di sogliola ed alla promozione di questa delizia del mare.
La manifestazione conoscerà a fine ottobre un galà di presentazione in Italia,nella splendida cornice di Villa Nani Mocenigo, a Dolo, nella Riviera del Brenta veneziana, grazie alla partecipazione degli Enti Turistici istriani alla rete dei Borghi Europei del Gusto.
La nazionalità della sogliola è l’alto Adriatico, perché la sogliola è uno di quei pesci meravigliosi che ha un ciclo biologico particolare. Le sogliole grosse, quelle da 25-30-35 centimetri, si trovano in genere da ottobre fino a febbraio fuori le coste dell’Istria, e sono pescate dai pescatori di Grado e Marano, mentre quelli di Caorle già non ci arrivano più, ma sono pescate anche dai pescatori dell’Istria a tre o quattro miglia dalla costa. Pescano i riproduttori. Le uova galleggiano, quindi vengono in superficie, sono trasportate dall’acqua e la corrente da quella parte va verso la costa italiana, ed ecco che allora raggiungono il golfo di Trieste, gli girano intorno e si fanno tutto il golfo di Venezia. Però nel frattempo crescono, viene fuori un pesciolino che nuota sempre in superficie e non ha niente a che vedere con quello che si trova sul fondo, continua a crescere e dopo un mesetto è arrivato quasi a un centimetro. C’è uno strano aspetto biologico che ha del fantastico, cioè che un occhio gira dall’altro lato. Quando l’occhio fa la migrazione lungo il muso del pesce e raggiunge l’altro lato, la sogliola, da pesciolino che sta dritto, si mette su un fianco e dai due occhi che guardano sopra è costretta a andare sul fondo. Lunga poco più di un centimetro entra nelle lagune venete, nelle valli del delta del Po, e cresce lì. Siccome nasce a gennaio-febbraio, cresce e rimane lì fino ad agosto-settembre. A novembre la soglioletta raggiunge i 18 centimetri.
TZ Savudrija
Istarska 2
52475 Savudrija
T. +385 (0)52 759659
F. +385 (0)52 759855
info@istria-savudrija.com
www.istria-savudrija.com
Assaggiare il pesce bianco di prima qualità preparato sotto sale o in forno con patate o, perchè no, crudo con succo di limone ed olio d'oliva, preparato fresco davanti ai vostri occhi, è una gioia per i palati!
La combinazione della tradizione peschereccia con la ricchezza del mare ed il turismo hanno portato alla fioritura gastronomica della regione costiera istriana.
Per gli amanti del pesce,nell'Istria nord-occidentale, dalla seconda metà di ottobre fino alla metà di novembre si svolge la manifestazione 'Giornate della Sogliola', durante la quale selezionati ristoranti preparano pietanze e menù a base di questo eccellente pesce.
Zlatna švoja - Sogliola d’oro è organizzata dagli enti per il turismo del comprensorio Umago/Cittanova (Umago,Salvore,Buie,Verteneglio e Cittanova) e dall’Ente per il turismo della Contea Istriana, ed è dunque un concorso gastronomico dedicato alle specialità a base di sogliola ed alla promozione di questa delizia del mare.
La manifestazione conoscerà a fine ottobre un galà di presentazione in Italia,nella splendida cornice di Villa Nani Mocenigo, a Dolo, nella Riviera del Brenta veneziana, grazie alla partecipazione degli Enti Turistici istriani alla rete dei Borghi Europei del Gusto.
La nazionalità della sogliola è l’alto Adriatico, perché la sogliola è uno di quei pesci meravigliosi che ha un ciclo biologico particolare. Le sogliole grosse, quelle da 25-30-35 centimetri, si trovano in genere da ottobre fino a febbraio fuori le coste dell’Istria, e sono pescate dai pescatori di Grado e Marano, mentre quelli di Caorle già non ci arrivano più, ma sono pescate anche dai pescatori dell’Istria a tre o quattro miglia dalla costa. Pescano i riproduttori. Le uova galleggiano, quindi vengono in superficie, sono trasportate dall’acqua e la corrente da quella parte va verso la costa italiana, ed ecco che allora raggiungono il golfo di Trieste, gli girano intorno e si fanno tutto il golfo di Venezia. Però nel frattempo crescono, viene fuori un pesciolino che nuota sempre in superficie e non ha niente a che vedere con quello che si trova sul fondo, continua a crescere e dopo un mesetto è arrivato quasi a un centimetro. C’è uno strano aspetto biologico che ha del fantastico, cioè che un occhio gira dall’altro lato. Quando l’occhio fa la migrazione lungo il muso del pesce e raggiunge l’altro lato, la sogliola, da pesciolino che sta dritto, si mette su un fianco e dai due occhi che guardano sopra è costretta a andare sul fondo. Lunga poco più di un centimetro entra nelle lagune venete, nelle valli del delta del Po, e cresce lì. Siccome nasce a gennaio-febbraio, cresce e rimane lì fino ad agosto-settembre. A novembre la soglioletta raggiunge i 18 centimetri.
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lunedì 4 ottobre 2010
La Festa di San Martino a Momiano di Buie in Istria
11.11.2010 - 14.11.2010
La Festa tradizionale è dedicata al santo protettore della città: San Martino. Si organizzano degustazioni di vini del momianese. Una vetrina del Moscato, doveaccanto a quello momianese , saranno esposti anche i vini provenienti da diverse zone dell’Istria, della Slovenia e dell’Italia
La degustazione del vino e la Vetrina del Moscato rimarranno aperte al pubblico durante tutta la durata dell’evento in alcune cantine di Momiano.
Verranno organizzati inoltre diversi eventi sportivi, raduni di motociclisti e di fisarmonicisti.
“II Moscato di Momiano lo beveva l'Imperatore d'Austria Francesco Giuseppe. Lo voleva per i suoi pranzi importanti. Lo sceglieva per il suo inconfondibile profumo, per il colore, il sapore, tant'è che lo insignì di diverse medaglie d'oro. Ma che cos'ha di eccezionale Momiano? La posizione giusta, a 250 metri sul livello del mare, la terra buona, l'aria frizzante, resa tale dall'incontro di correnti che salgono dal mare e scendono dalle montagne. Da Oscurus a San Mauro a Merischie si possono già vedere le viti piantate solo qualche anno fa. Sono molto delicate. Una pioggia più forte o una grandinata possono compromettere il lavoro di una stagione. Tutta l'arte del fare il moscato sta proprio nel portare a giusta maturazione il loro frutto. L'acino è molto delicato, basta un niente e si svuota del succo.
Prima dell'esodo, Momiano aveva novanta numeri civici sulle rispettive case. Gli edifici, tuttora esistenti, erano a più piani e quindi di gente ce n'era. Dopo gli anni Cinquanta rimasero qui soltanto sette famiglie: Bassa, Giurgevich, Pelin, Biloslavo, Scaramello, Orlando e Salich. I campi incolti, la migrazione verso le industrie e le aziende sociali di chi era rimasto, hanno contribuito a far sparire usi e costumi, o a trasformarli in riti da consumarsi soltanto all'interno della famiglia.
Ad un certo punto, i giovani della zona si sono resi conto che c'era una strada sicura da percorrere: quella della tradizione. Tornare al lavoro dei campi, con l'impegno di tutta la tecnologia necessaria e la presentazione, qualificata e qualificante, dei prodotti sul mercato.
A spronare la generazione dei trentenni a produrre ed imbottigliare i vini sono stati anche i riconoscimenti ottenuti in occasione della Festa di San Martino, tornata in auge dopo anni di silenzio. Da qualche anno, infatti, l'11 novembre si premiano i vini migliori di tutta la zona. È una sagra che dura diversi giorni e che riassume in questo periodo dell'anno tutti i contenuti e gli appuntamenti che, una volta, avevano luogo nei paesetti del Buiese. Si svolgono incontri di bocce, si balla in piazza e per le strade, si beve vino in una generale, inevitabile, euforia.”
(Tratto da: Rosanna T. Giuricin & Stefano de Franceschi, Mangiamoci L'Istria, MGS Press (Trieste, 2001), "La Polenta" [Da Abbazia a Grobnico], p. 164-91.)
Per Informazioni:
TZ Buje
T/F. +385 (0)52 773353
info@istria-buje-buie.com
La Festa tradizionale è dedicata al santo protettore della città: San Martino. Si organizzano degustazioni di vini del momianese. Una vetrina del Moscato, doveaccanto a quello momianese , saranno esposti anche i vini provenienti da diverse zone dell’Istria, della Slovenia e dell’Italia
La degustazione del vino e la Vetrina del Moscato rimarranno aperte al pubblico durante tutta la durata dell’evento in alcune cantine di Momiano.
Verranno organizzati inoltre diversi eventi sportivi, raduni di motociclisti e di fisarmonicisti.
“II Moscato di Momiano lo beveva l'Imperatore d'Austria Francesco Giuseppe. Lo voleva per i suoi pranzi importanti. Lo sceglieva per il suo inconfondibile profumo, per il colore, il sapore, tant'è che lo insignì di diverse medaglie d'oro. Ma che cos'ha di eccezionale Momiano? La posizione giusta, a 250 metri sul livello del mare, la terra buona, l'aria frizzante, resa tale dall'incontro di correnti che salgono dal mare e scendono dalle montagne. Da Oscurus a San Mauro a Merischie si possono già vedere le viti piantate solo qualche anno fa. Sono molto delicate. Una pioggia più forte o una grandinata possono compromettere il lavoro di una stagione. Tutta l'arte del fare il moscato sta proprio nel portare a giusta maturazione il loro frutto. L'acino è molto delicato, basta un niente e si svuota del succo.
Prima dell'esodo, Momiano aveva novanta numeri civici sulle rispettive case. Gli edifici, tuttora esistenti, erano a più piani e quindi di gente ce n'era. Dopo gli anni Cinquanta rimasero qui soltanto sette famiglie: Bassa, Giurgevich, Pelin, Biloslavo, Scaramello, Orlando e Salich. I campi incolti, la migrazione verso le industrie e le aziende sociali di chi era rimasto, hanno contribuito a far sparire usi e costumi, o a trasformarli in riti da consumarsi soltanto all'interno della famiglia.
Ad un certo punto, i giovani della zona si sono resi conto che c'era una strada sicura da percorrere: quella della tradizione. Tornare al lavoro dei campi, con l'impegno di tutta la tecnologia necessaria e la presentazione, qualificata e qualificante, dei prodotti sul mercato.
A spronare la generazione dei trentenni a produrre ed imbottigliare i vini sono stati anche i riconoscimenti ottenuti in occasione della Festa di San Martino, tornata in auge dopo anni di silenzio. Da qualche anno, infatti, l'11 novembre si premiano i vini migliori di tutta la zona. È una sagra che dura diversi giorni e che riassume in questo periodo dell'anno tutti i contenuti e gli appuntamenti che, una volta, avevano luogo nei paesetti del Buiese. Si svolgono incontri di bocce, si balla in piazza e per le strade, si beve vino in una generale, inevitabile, euforia.”
(Tratto da: Rosanna T. Giuricin & Stefano de Franceschi, Mangiamoci L'Istria, MGS Press (Trieste, 2001), "La Polenta" [Da Abbazia a Grobnico], p. 164-91.)
Per Informazioni:
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T/F. +385 (0)52 773353
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venerdì 1 ottobre 2010
La Locanda del Ditirambo e la Giornata del Contemporaneo
In occasione della VI Giornata del Contemporaneo (9 ottobre 2010), La Locanda
del Ditirambo ospita l'installazione d'Arte Contemporanea "Stanze d'Artista".
Stanze d'Artista è un progetto a cura di Simona Perchiazzi.
Le opere di quattro artisti, Antonio Gallinaro, Massimo Luccioli, Antonio
Picardi e Alessandra Ragionieri, abiteranno dal 9 ottobre al 30 novembre gli
spazi dell'Albergo Diffuso "La Locanda del Ditirambo" nel borgo di Castro dei
Volsci (FR).
La sesta giornata del Contemporaneo fornirà, così, anche un'ottima occasione
per visitare l'antico borgo di Castro.
L'8 ottobre 2010 alle ore 19:00 presso la Torre dell'Orologio Performance Live Electronics
a cura di Giovanni Fontana (pre-testo, voci e sound design)
e Massimiliano Cerroni (composizione elettroacustica e regia del suono)
A seguire, dopo la Performance Live Electronics, rinfresco al Ristorante La
Locanda del Ditirambo.
La Locanda del Ditirambo
Via dell'Orologio, 11/A
Castro dei Volsci - Lazio - Italia
Tel: 0775662091
Reception 3454045337
Email: info@albergodiffusocastro.it
http://www.albergodiffusocastro.it
del Ditirambo ospita l'installazione d'Arte Contemporanea "Stanze d'Artista".
Stanze d'Artista è un progetto a cura di Simona Perchiazzi.
Le opere di quattro artisti, Antonio Gallinaro, Massimo Luccioli, Antonio
Picardi e Alessandra Ragionieri, abiteranno dal 9 ottobre al 30 novembre gli
spazi dell'Albergo Diffuso "La Locanda del Ditirambo" nel borgo di Castro dei
Volsci (FR).
La sesta giornata del Contemporaneo fornirà, così, anche un'ottima occasione
per visitare l'antico borgo di Castro.
L'8 ottobre 2010 alle ore 19:00 presso la Torre dell'Orologio Performance Live Electronics
a cura di Giovanni Fontana (pre-testo, voci e sound design)
e Massimiliano Cerroni (composizione elettroacustica e regia del suono)
A seguire, dopo la Performance Live Electronics, rinfresco al Ristorante La
Locanda del Ditirambo.
La Locanda del Ditirambo
Via dell'Orologio, 11/A
Castro dei Volsci - Lazio - Italia
Tel: 0775662091
Reception 3454045337
Email: info@albergodiffusocastro.it
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