Nella tradizione culinaria partenopea, i paccheri napoletani hanno origini molto radicate. Un tempo era la “ pasta dei poveri “ perché sono grandi e ne bastavano pochi per riempire il piatto. Una curiosità simpatica, riguarda l’origine del nome. In dialetto “pacchero” significa “schiaffo” e perciò vengono chiamati anche Schiaffoni. Inoltre, con questo formato di pasta, l’abbinamento con un buon sugo liquido, fa sì che quando si versano nei piatti emettono un particolare suono che assomiglia ad uno schiaffo. Pacchero deriva da un termine greco che significa “schiaffo a piena mano”. Quattro paccheri e sei a posto. Anche per i paccheri napoletani c’è una storia interessante che non si dimentica facilmente: il pomodoro, anzi fu un incontro epocale.
Ricordiamo che il pomodoro arrivò dall’America solo nel XVII secolo e quando approdò a Napoli fu una vera rivoluzione in cucina. Il pomodoro si rivelò un ingrediente che cambiò totalmente le vecchie abitudini di condire la pasta che prima era abbinata a verdure o a salse agrodolci. Il pomodoro portò un nuovo gusto in tavola e si rivelò un condimento capace di far esaltare il sapore della semola di grano duro e di conseguenza la fragranza ad ogni boccone.
L’incontro dei paccheri con il pomodoro, fu amore a prima vista perché la forma e la superficie rugosa al punto giusto, trattengono molto bene il condimento garantendo un gusto impareggiabile.
I Paccheri, alla vista sembrano simile alle “maniche” e invece sono più sottili e lisci all’interno con un tocco di rugosità che li rende unici.
I Paccheri napoletani sono inconfondibili, basta condirli con un buon ragù di carne o con un pasticcio al forno perché sprigionino la loro appetitosa delicatezza e un gusto unico e inconfondibile.
La scelta della pasta come alimento quotidiano, costò ai napoletani la fama di mangiamaccheroni, ma fu però una soluzione migliore di quella trovata altrove. Per esempio al Nord l’alimentazione popolare era costituita per lo più da polenta, sbilanciata dal punto di vista nutrizionale.
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