mercoledì 7 aprile 2010

L'Oste, il Bottaro e l'Avventore


Camminare guardandosi intorno per Piazza Pia, ad Albano Laziale, non è solo una piacevole passeggiata, è un tuffo nella storia, nella cultura di un paese che vanta antenati illustri, che un tempo era Legione Romana, per poi assumere una dimensione contadina, mai abbandonata nell'animo.


Piazza Pia, che nei suoi trascorsi più recenti sarà il mercato delle erbe, è stato il centro dei primi insediamenti rurali ad Albano, quando i Castra Albanum vennero abbandonati, prima in maniera periodica e poi definitivamente dai Romani. L'angolo della fortificazione divenne la sede ideale per concentrare quelli che poi furono i primi insediamenti urbani, figli di quelle famiglie al seguito dei legionari, o gli stessi combattenti giunti al meritato riposo.

Ed è qui, tra queste mura che sanno ancora di antico, a due passi dal Duomo e dai confini Vaticani, che attraverso un arco si accede a un cortile che sembra uscito da una cartolina anni 60, mentre una porta di vetro e ferro apre all'osteria di Sergio De Rossi, uno degli ultimi Osti di Albano, ex-infermiere, che con la famiglia da 150 anni si dedica al vino.

Due silos, uno di bianco, uno di rosso, dei tavolacci, l'uva prodotta in proprio per quei litri di vino che finché c'è siamo aperti e poi ci si rivede l'anno prossimo, i tanti avventori di questa osteria stagionale, che intorno al bicchier di vino cementa amicizie.

“Qui non ci sono distinzioni” ci racconta Sergio “non c'è razza o ceto sociale. Lui è muratore, lui pensionato, lui dottore, loro romeni e lui tunisino, ma il bicchiere è uguale per tutti, il vino è sincero e garantisco io”.

Mentre parliamo veniamo rapiti dalla simpatia del Signor Giovanni, 81 anni, qualche problema al cuore che gli consiglia di non esagerare, ma tanta esperienza e passione per Albano da raccontare.

“Vengo qui per rilassarmi ogni sera – ci racconta Giovanni- Ritrovo gli amici e l'ospitalità dell'oste. Mi sento come a casa mia. Ogni tanto ci incontriamo per una serenatellla...siamo appassionati di musica”. A questo punto Giovanni si lascia trasportare dai ricordi e la sua mente va al 1959 quando la famosa trasmissione Campanile sera con Enza Sampò fece tappa proprio a Piazza Pia e lui rappresentò Albano con un concertino mandolinistico, sui muri dell'osteria diverse foto che ricordano quei momenti di gioventù.

“Sono albanense doc, Albano prima era un paese pieno di villeggiatura e allegria, ora non è più così. Vi chiedo di scrivere dell'abbandono del centro storico, noi che viviamo lì siamo cittadini come tutti gli altri e invece le nostre belle vie sono abbandonate a loro stesse, piene di buche e poca pulizia”- si appella accoratamente Giovanni che ringraziandoci e facendoci tanti auguri per il futuro continua a bere il suo bicchiere di vino.

Alle luci del mattino completiamo il nostro giro nella cultura del vino albanense. Chi ci ospita è Alfredo Sannibale, cugino di Sergio, titolare del Museo bottega che dal 1870 costruisce, ripara e mantiene botti che hanno fatto la storia delle osterie locali.

“Una volta solo in questa zona c'erano 40 osterie, ora ne sono rimaste un paio. Il mio è un lavoro che va a scomparire, in tutti i Castelli saremo rimasti in 3 o 4”.

I tempi che cambiano, la cultura che rimane. Pialle curve, martello, compasso, frisello e l'odore del legno, tra questi attrezzi la passione di Alfredo, che ricorda di quando venne la televisione e della curiosità dei turisti, che a volte lo guardano come fosse anche lui un reperto storico e, forse, non avendo tutti i torti.

“Le nuove tecnologie hanno migliorato la qualità del vino. Esistono materiali di conservazione migliori del legno e soprattutto meno faticosi. Il vino a botte è un arte, che vuole i suoi tempi e le sue attenzioni, ecco perché sono in pochi ancora a farlo. Botti in legno adesso vengon fatte in maniera industriale, e non sarei onesto se non dicessi che hanno lo stesso valore, ma a me piace così e sono contento, qui, tra i miei attrezzi”.

Sergio, Alfredo, Giovanni, il sapore di un Albano che quasi, e sottolineamo quasi, non c'è più.



Francesca Ragno e Francesco Saverio Teruzzi

(si ringrazia per la gentile collaborazione Dario Benedetti)

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